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Il pensiero è essenza fisica: intervista all'artista Gianfranco Meggiato

Scritto da Redazione | 9-gen-2025 11.33.04

La mostra ora esposta presso AD Dal Pozzo Galleria d'Arte, Il pensiero è essenza fisica di Gianfranco Meggiato, rappresenta, secondo le parole dell’artista stesso, «un’arte che va oltre il tempo. Ha un linguaggio contemporaneo, ma il suo messaggio è universale, senza tempo». L’artista così descrive il carattere unico del suo linguaggio artistico e nell’intervista che segue approfondisce il significato delle sue opere e della sua visione creativa.

 

 

 

Domanda. Gianfranco Meggiato, scultore veneziano che opera a livello internazionale. Partiamo dalla sua città natale, Venezia. Quanto questa città ha contribuito a formarla e ispirarla come artista?
Risposta. Penso che Venezia sia una città da sempre aperta al mondo e questa apertura è stata fondamentale per me, perché mi considero un cittadino del mondo. I messaggi che cerco di trasmettere attraverso le mie opere non sono legati a un territorio specifico: hanno una dimensione universale.

D. Nei suoi lavori emergono riferimenti a filosofia, spiritualità e scienza, in particolare alla fisica quantistica. Quali sono i temi centrali che esplora attraverso le sue opere? E come li comunica al pubblico?
R. L’arte, attraverso la sua metafora, permette di superare barriere culturali e religiose. Di recente ho avuto un incontro molto intenso con un Imam: abbiamo scoperto una profonda sintonia su molti temi. Questo mi ha confermato che esiste un substrato comune tra molte religioni, una spiritualità profonda che va oltre le singole confessioni. Io credo che ci sia una spiritualità che affonda le radici nel fatto che noi siamo una particella di una grande coscienza universale, quella stessa coscienza che tiene insieme l’intero universo. Partendo da questa visione, vedo ogni individuo come una particella chiamata a fare la propria parte.
Nel mio percorso artistico, ho compreso che il senso della vita sta nel dare qualcosa agli altri: un messaggio, una speranza, un motivo per fermarsi e riflettere. Viviamo in un’epoca in cui corriamo freneticamente e quasi abbiamo paura di guardarci dentro, di interrogarci sul significato di ciò che facciamo. Ecco, la mia arte è un invito a fermarsi e riflettere.

D. Quanto è importante per lei che il pubblico interagisca con le sue opere? Ha un’esperienza di interazione che ricorda con particolare emozione?
R. Per me è fondamentale entrare in dialogo diretto con chi osserva le mie opere. Partecipare a incontri con collezionisti, architetti o semplicemente appassionati mi permette di spiegare il senso delle mie creazioni. Però, spesso capita che le persone abbiano già un bagaglio interiore che permette loro di comprendere autonomamente il significato delle mie opere. Ricordo, per esempio, una mostra a Nuova Delhi, in India, dove erano i visitatori a spiegare a me il senso delle mie opere, perché nella loro cultura c’era già una profonda sintonia con i miei messaggi.

 

La mostra Il pensiero è essenza fisica di Gianfranco Meggiato presso AD Dal Pozzo Galleria d'Arte a Padova

 

D. Le sue sculture sono spesso collocate in spazi pubblici. Qual è il ruolo dell’ambiente circostante nel dare vita alle sue opere?
R. Quando installo un’opera, cerco sempre di rispettare il contesto in cui viene inserita. Ad esempio, nella mostra alla Valle dei Templi di Agrigento, ogni scultura aveva un legame simbolico con il tempio alle sue spalle. “Il soffio della vita” – un’opera che parla di essenza spirituale e creazione, il cui sottotitolo è “Non c’è amore più grande di chi dà la vita” – era posizionata di fronte al Tempio di Giunone, la dea della famiglia. Più recentemente, a Baku, ho lavorato in relazione con l’architettura di Zaha Hadid: le linee delle mie opere dialogavano con quelle di questo straordinario gioiello architettonico. Il mio consiglio per uno scultore è questo: non mettere il proprio ego al primo posto, ma entrare in punta di piedi nel contesto, creando un dialogo tra l’opera e l’ambiente.

D. Nel 2017 ha ricevuto il premio ICOMOS-UNESCO per aver coniugato antico e contemporaneo in installazioni scultoree di grande potere evocativo e valenza estetica. Ci racconta questa connessione?
R. Per quell’occasione ho realizzato un’installazione nel Parco della Biodiversità di Catanzaro, un luogo che ospita sculture di grandi artisti come Tony Cragg e Mimmo Paladino. Durante un periodo segnato dal terrorismo, ho realizzato un’opera intitolata “Le muse silenti”: un’installazione di 20 metri di diametro composta da 4.000 sacchi di iuta, un labirinto interno con alcune sculture. L’opera trasformava fortificazioni simili a baluardi militari in una simbolica difesa dell’arte, dove le muse, fonte di poesia e bellezza, assumevano il ruolo di custodi silenziose contro la barbarie del terrorismo. Alla Valle dei Templi ho messo in dialogo fisica quantistica e archeologia, partendo dal motto “Conosci te stesso” inciso sul Tempio di Apollo a Delfi. L’ho collegato all’esperimento della doppia fenditura, dove l’osservazione umana altera il comportamento dei fotoni. Questo fenomeno solleva una domanda profonda: chi siamo, per influenzare la natura delle particelle subatomiche con un semplice sguardo? Se ci consideriamo parte di una coscienza universale, frammenti di una forza creatrice che tiene insieme tutto l’Universo, allora comprendiamo di essere co-creatori, capaci di trasformare la materia attraverso pensiero e osservazione. Alla base del mio lavoro artistico c’è questa convinzione: noi siamo molto più di ciò che ci viene fatto credere. Come diceva Guccini, “Il potere è l’immondizia degli umani, e noi siamo dei romantici rottami”. Il nostro ruolo è proprio quello dei “romantici rottami” che non combattono con le armi, ma attraverso una rivoluzione della coscienza. Perché è solo con una crescita interiore, con una maggiore consapevolezza del nostro ruolo nell’Universo, che possiamo trasformare davvero il mondo. L’arte contemporanea manca di speranza. Spesso si limita a constatare ciò che non va, a rappresentare il dolore, il disordine e la sofferenza. Queste rappresentazioni possono avere una forte carica scenica ed emotiva, ma troppo spesso si fermano lì. Quello che manca è una visione che elevi, che porti oltre la condizione umana e restituisca un senso di possibilità. Quando ci ancoriamo al nostro lato umano, dimenticando la nostra dimensione spirituale, perdiamo la speranza.

 

La mostra di Gianfranco Meggiato L’uomo quantico, non c’è futuro senza memoria alla Valle dei Templi di Agrigento

 

D. Come definirebbe la sua arte?
R. È un’arte che va oltre il tempo. Ha un linguaggio contemporaneo, ma il suo messaggio è universale, senza tempo.

D. Lei non realizza bozzetti preparatori. Qual è il processo che segue nella concezione di una nuova opera?
R. Quando concepisco una nuova opera, l’immagine mi appare quasi sfocata, come un’intuizione iniziale. Man mano che lavoro, i dettagli si fanno più chiari. Spesso ci vogliono mesi per completare un’opera a causa della complessità tecnica. La chiave, però, è mettere da parte l’ego. L’artista è un’antenna: riceve idee e le trasforma. Ogni volta che ho provato a creare un’opera partendo solo dalla razionalità, ho finito per bloccarmi.

D. Lei utilizza spesso il bronzo e le fusioni metalliche. Cosa la affascina di questo materiale?.
R. Il bronzo mi permette di creare opere molto sottili e con forme estremamente complesse, impossibili con altri materiali. Uso anche il marmo, con il quale riesco a creare una trasparenza che entra all’interno della materia marmorea, ma il bronzo offre una libertà espressiva unica.

 

 

D. Parliamo del concetto di “introscultura”. Cosa significa per lei? Cosa lo rende differente dalle altre forme di scultura contemporanea? 
R. L’introscultura rappresenta l’invito a guardarsi dentro. È quella sfera dorata dentro di noi che riflette le esperienze della vita, comprese le difficoltà e le ombre. Paradossalmente, sono proprio i momenti più complessi che ci aiutano a crescere. Viviamo in un’epoca che privilegia l’apparenza, ma l’introscultura sfida questo approccio e ci invita ad andare in profondità e a non fermarci alla superficie. 

D. Lei parla spesso dell’equilibrio tra pieni e vuoti, luci e ombre. Questo equilibrio è un riflesso del suo percorso personale o un messaggio universale?
R. Nelle mie opere, il vuoto è importante quanto il pieno, forse anche di più. È nelle cose intangibili – sentimenti, sogni, ideali – che risiede la vera sostanza della vita. L’arte ci insegna a vivere il presente, a cogliere l’attimo fuggente, senza essere prigionieri del passato o troppo proiettati nel futuro.

D. Ultima domanda, torniamo al rapporto tra l’opera e l’ambiente. Un’opera d’arte può vivere in qualsiasi spazio? 
R. Dipende dal messaggio che l’opera porta con sé. Se un’opera sublima l’ambiente in cui è collocata, allora sì, può vivere ovunque. Tuttavia, l’arte non deve essere una semplice decorazione: deve contenere un senso profondo, un contenuto che induca a riflettere su chi siamo e sul nostro percorso. Siamo esseri spirituali in corpi fisici, impegnati in un viaggio di crescita e scoperta. La chiave per affrontare questo percorso è adottare un atteggiamento positivo, anche di fronte alle difficoltà. Quando accade qualcosa, la domanda da porsi è «Cosa vuole insegnarmi questa situazione?», questo approccio permette di cogliere il significato profondo degli eventi e instaurare un rapporto autentico con l’universo, che comunica costantemente attraverso segnali e intuizioni. Imparando ad ascoltarlo e a fidarci, possiamo lasciarci guidare lungo il nostro cammino.

 

La mostra Linee dell'invisibile di Gianfranco Meggiato presso l'Heydar Aliyev Center a Baku

 

La mostra di Gianfranco Meggiato rappresenta un’opportunità per esplorare un universo artistico che, radicandosi nella scultura e nella riflessione filosofica, si arricchisce di profondità emotiva e significati universali. Vi invitiamo a visitare la mostra presso AD Dal Pozzo Galleria d’Arte, in esposizione fino al 31 Gennaio.